di Olimpia Armenante psicologa, psicoterapeuta
Tratto dall’intervento al convegno “Sentieri in/visibili dell’identità femminile” organizzato dalla Cooperativa ASPIC in collaborazione con la Provincia di Roma del 29 novembre 2004. Intervento pubblicato nella Rivista “Integrazione nella psicoterapia e nel counseling” n. 19/20 anno 2006
La moda della magrezza che si è diffusa presso la società occidentale nell’ultimo secolo e la modificazione delle aspettative sociali verso le donne dell’ultimo ventennio hanno determinato un incremento esponenziale del numero dei casi di persone affette da disturbi alimentari, tanto da poter parlare di epidemia sociale. Negli ultimi dieci anni si è infatti registrato un incremento del 200% dei casi di anoressia e bulimia, molto più della depressione. Tre milioni di italiani – il 90% donne, il 10% uomini – sono colpiti da disturbi alimentari, 55mila nuovi casi l’anno di anoressia e 70mila di bulimia, con esiti di mortalità intorno al 10-15%. In crescita il fenomeno tra i bambini e gli over quaranta. La bulimia nervosa è la patologia alimentare più diffusa in Italia. A soffrirne è il 60% – soprattutto adolescenti – del totale delle persone colpite da disturbi alimentari, contro il 30% dell’anoressia nervosa e il 10% del disturbo dell’abbuffata compulsava, che colpisce in genere tra i 25 e i 30 anni. Sono in aumento i casi di donne che accanto al disturbo alimentare presentano depressione e abuso di sostanze alcoliche e di farmaci. Inoltre, sembrano aumentare i casi di donne che alternano fasi in cui la sintomatologia caratteristica è quella di tipo bulimico, a fasi anoressiche. Utilizzando sintomi diversi, la donna “risponde” alle richieste culturali che si alternano nel corso della stessa epoca storica e nell’ambito di popolazioni e culture diverse. I disturbi del comportamento alimentare sarebbero quindi apparsi massicciamente con la prima generazione di donne dalle quali si attendeva una vita diversa da quella delle proprie madri, socialmente più rapportabile a quella del padre. Il paradosso interessante che si sta verificando è caratterizzato dal tentativo delle donne di cercare di prendere le forme del corpo maschile e di identificarsi con il modello maschile, mentre gli uomini contemporaneamente si stanno identificando con il “femminile” ed il “materno”. In questi nostri tempi, la mascolinità sta estinguendo la femminilità: un errore fatale per qualunque donna, in quanto solo l’acquisizione dell’energia maschile positiva, orientata allo scopo e al raggiungimento dell’obiettivo permetterebbe alla donna di perseguire la propria individualità e, paradossalmente, diventando più forte diventerebbe meno rigida e quindi più flessibile. La donna riuscirebbe così a mantenere la perfetta tensione tra una posizione solida e la resa alle forze creative del femminile interiore. Il potere maschile penetrativo inseminerebbe e permetterebbe la liberazione della creatività del femminile. Il problema dell’identità femminile alla base dei disturbi alimentari è influenzato quindi da un particolare ideale tipicamente maschile: la perfezione. Successo, indipendenza, competitività e produttività sono diventate le richieste del nuovo millennio, richieste alle quali viene imposto alle donne di uniformarsi. Tutto questo mentre ancora il tradizionale o “vecchio” modello sociale-educativo cerca di persistere, in quanto oggi alle donne viene chiesto comunque di assumere un comportamento che scoraggia lo spirito di iniziativa e l’autonomia. Forte è ancora la pressione verso la femminilità tradizionale che enfatizza bellezza, compiacenza e passività. Le donne sono quindi impegnate a raggiungere un nuovo equilibrio tra gli attuali ideali di successo e le aspettative legate al tradizionale ruolo di madre e di moglie. I rituali privati con il cibo diventano, allora, il contesto privilegiato di espressione di sentimenti e bisogni personali, legati agli aspetti più dolci e vulnerabili della propria femminilità. Il disturbo alimentare comincia con quello che sembra essere un problema di peso in eccesso o in difetto. Ruoli femminili che si intrecciano, si alternano e si sovrappongono: figlia, donna, madre, donna che invecchia, un corpo che cambia e si adegua alle nuove fasi del ciclo di vita. Un corpo che fa i conti con la propria storia in divenire e che riflette la fatica di trasformarsi. Il cibo rappresenta lo strumento che scandisce il movimento ciclico di un contenitore, il corpo, che può essere lasciato in uno stato di cronica denutrizione (anoressia) o che viene riempito all’eccesso per poi essere svuotato con foga (bulimia). Oggi queste patologie, che sembravano caratterizzare l’adolescenza come periodo critico per eccellenza, interessano altre fasi critiche della vita della donna: la gravidanza e la menopausa. Dopo l’adolescenza, momento carico di profondi mutamenti, ricco di emozioni e di sfide, la patologia alimentare ricompare spesso durante la gravidanza. Il corpo che muta e l’acquisizione del nuovo ruolo sociale, attribuiscono un ruolo centrale alla corporeità, soprattutto in chi già vi combatte da diversi anni. Anche se la maternità è stata desiderata, voluta e cercata, i cambiamenti di un fisico tenuto sempre sotto controllo vengono accettati a fatica e la gravidanza viene vissuta con un controllo maniacale verso il cibo. Queste donne arriveranno ad investire tutte le proprie energie nella preoccupazione continua del mantenimento della propria immagine, piuttosto che riflettere sul significato profondo della propria trasformazione. In questo caso la donna “uccide” la madre, e il figlio portato nel grembo diventa il proprio rivale piuttosto che costituire il proprio completamento. Le donne che attendono un figlio e che sono il frutto di una generazione costantemente ossessionata dalla preoccupazione per il cibo utilizzeranno l’equazione cibo/affetto nei momenti di disagio e di cambiamento ed è naturale quindi che affiorino disturbi del comportamento alimentare.
La gravidanza, essendo il momento culmine dell’espressione della femminilità di una donna, ripropone, con maggiore forza e consapevolezza rispetto all’adolescenza, un ulteriore confronto con l’immagine materna. Con la propria gravidanza la donna rivive la gestazione della propria madre e quella delle donne delle generazioni precedenti. La menopausa rappresenta invece il momento della verità, quando si definisce il punto di quello che si è e di quello che si è fatto. Mangiare a dismisura permette di sfruttare la funzione compensatoria del cibo e di utilizzare l’adipe in eccesso per nascondere una personalità che non vuole più mettersi in gioco. La scelta di non mangiare in questa fase ha comunque un significato analogo in quanto determina la cancellazione delle forme. In entrambi i casi si perde totalmente la morfologia femminile. Si decide insomma di non essere più donne e di non competere più con se stesse, con gli altri e con le aspettative sociali. Intraprendere una dieta significa acquistare un senso di potenza e di indipendenza. Tali aspetti vengono sostenuti dalla cultura attuale dominante che accordando valore alle diete e alla magrezza, propone una risposta sociale positiva ad una soluzione del genere. L’essere magri è associato al potere maschile (razionale, perfezionistico, orientato allo scopo), l’essere grassi alla debolezza femminile (emotività e vulnerabilità). Oggi l’ossessione per il cibo coinvolge quindi le donne di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali. A 20, a 30, a 40, a 50 anni le donne tornano a scuola, si mettono in discussione, affrontano cambiamenti importanti di ruolo privato e professionale, si riappropriano dei loro desideri e cercano di soddisfarli aprendo attività, coinvolgendosi nel sociale. L’attivazione di questo processo produce cambiamenti significativi nel loro stile di vita e nel concetto di sé. Cambiano le loro relazioni familiari, affettive e sociali. Queste donne quando penseranno di aver raggiunto tutti i loro obiettivi, si nasconderanno dietro le loro vite riuscite: l’efficienza perfetta, un mondo perfetto, un corpo perfetto, relazioni perfette, finendo per essere invase dall’ideale della perfezione, tipicamente maschile. Per riempire il vuoto esistenziale che proprio il movimento verso la perfezione genera in loro, continuano ad esacerbare la lotta con se stesse e con il proprio corpo, utilizzando un cattivo rapporto con l’alimentazione per esprimere questa lotta interiore. Una volta entrate nella spirale della perfezione, del pensiero tutto o nulla, queste donne diventeranno sempre meno consapevoli di quali sono i loro reali bisogni (fame biologica e mentale) in “figura” e quali sono quelli sullo “sfondo”. Questa spirale porta le donne a rimanere intrappolate in un ciclo di soddisfazione e svuotamento, un “far bene sentendosi male”. Fanno “bene” ad adottare modalità comportamentali basate sulla compiacenza e sull’altruismo, modalità comportamentali che le portano, nello stesso tempo, a star male, in quanto non fondate sui propri bisogni e su obiettivi autonomamente scelti. L’immagine della “superdonna” è quella di una donna che ha tutto, che viene corteggiata ed ammirata dall’universo maschile per la sua femminilità, le sue capacità operative/pratiche e le sue qualità mondane. Questa versione moderna della “brava ragazza” è una distorsione degli ideali di uguaglianza femminile. Le anoressiche tenderanno ad interiorizzare questa ideologia distorta: l’ideologia femminista che per loro rappresenterà un’ulteriore richiesta esterna di perfezione a cui si sentiranno costrette ad aderire. Le bulimiche e le obese si conformeranno invece in modo eccessivo agli stereotipi della femminilità: si tratterà di donne estremamente compiacenti, passive e particolarmente sensibili alla critica ed al rifiuto maschile, per cui il desiderio di essere magre e la preoccupazione per l’aspetto esteriore saranno manifestazioni di un’adesione in forma estrema, più che di un rifiuto del modello culturale femminile.
Tuttavia il disturbo alimentare può essere letto anche come fenomeno che consente alla donna di arrestare il processo di cambiamento in atto: la donna si ritrae dalla vita sociale, da tutti i suoi interessi e dalle sue occupazioni per passare le giornate a studiare le tabelle delle calorie, pesando ogni alimento, misurando tutti gli ingredienti e facendo sport in modo da bruciare quante più calorie è possibile. In quest’ottica l’attuale epidemia di disturbi alimentari sembra coincidere con la profonda crisi di sviluppo in una generazione di donne ancora profondamente confuse, dopo due decenni di lotta per la liberazione femminile, su cosa significhi essere una donna nel mondo moderno. La transizione culturale in atto potrebbe definirsi di portata “mondiale” e riguarda l’intrecciarsi di culture tradizionali, locali e chiuse con culture “occidentalizzate” portatrici di messaggi di progresso, velocità, magrezza, flessibilità e dinamismo. Questa transizione culturale coinvolge le donne e le famiglie, e nel passaggio può generare criticismo da parte materna (leggi generazione precedente) e un certo disorientamento nell’identità e la paura di perdere il controllo da parte delle figlie (leggi generazione attuale). In questo clima prevalgono due forze culturali contrapposte che influenzano le donne: gli stereotipi femminili prevalenti legati ai ruoli di genere e il desiderio di essere donne moderne realizzate. Il processo di transizione culturale e di modernizzazione determina una tensione psicologica che contribuisce ad accrescere i livelli dei disturbi alimentari per frequenza, vastità e intensità del fenomeno. Per iniziare il processo di “guarigione” è indispensabile un cambiamento nel comportamento oro-alimentare e nella gestione del self-empowerment della persona. Ciò paradossalmente prevede che la donna faccia quello che è incapace di fare: mangiare di più o di meno, ignorando che questa condizione dipende proprio dall’incapacità di riuscire a controllare la propria alimentazione perché caricata di significati altri, oltre a quelli puramente fisiologici e nutrizionali. Non si può quindi pensare che la sola prescrizione dietetica possa essere sufficiente. Il percorso terapeutico tende a portare le persone alla padronanza di sé, per mezzo dell’introspezione, della ristrutturazione cognitiva e corporea, della sperimentazione profonda del processo di conoscenza di sé. Questo processo consente alla donna di aumentare la consapevolezza di sé, di acquisire la capacità di distinguere e la capacità di assumere impegni verso se stessa che permettano di equilibrare il principio maschile (razionale, perfezionistico, orientato allo scopo) con quello femminile (emotivo, creativo, nutriente). Trattandosi di disturbi che colpiscono sia il corpo che la mente, l’efficacia del trattamento sarà tanto maggiore quante più figure professionali (psichiatra, psicoterapeuta, nutrizionista) interagiranno tra loro. Con un trattamento integrato e multidisciplinare i risultati di guarigione sono infatti molto elevati: l’80% dei casi di anoressia sembra guarire completamente, mentre solo il 60% dei casi di bulimia guariscono completamente, a causa del forte rischio di recidiva dovuta ai disturbi associati.